Equal Pay Day

Verso la parità retributiva

Oggi, 15 novembre, è stato dichiarato dalla Commissione Europea l’Equal Pay Day: una giornata europea dedicata alla parità retributiva. Perché il 15 novembre, oggi appunto, rappresenta il giorno da cui le donne europee smettono di guadagnare per il lavoro che svolgono durante l’anno: 47 giorni in meno di lavoro retribuito rispetto ai loro colleghi uomini, che guadagnano 365 giorni l’anno. Le donne nell’Unione europea, infatti, continuano a guadagnare meno degli uomini, con un divario retributivo medio di genere nell’UE pari al 13%: ciò significa che per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna guadagna solo 0,87 euro.

Il più autorevole indice mondiale delle disparità di genere, il Global Gender Gap Index del World Economic Forum 2023, ha constatato che l’Italia è arretrata di 16 posizioni rispetto al resto del mondo dal 2022, a causa soprattutto delle disparità nel mondo del lavoro (con lo scarto tra la partecipazione attiva più alto d’Europa, circa 20 punti percentuali) e della politica. E se nessun Paese al mondo ha raggiunto ancora la piena parità di genere, il punteggio del Global Gender Gap nel 2023 per tutti i 146 Paesi considerati è chiuso al 68,4%. I primi nove (Islanda, Norvegia, Finlandia, Nuova Zelanda, Svezia, Germania, Nicaragua, Namibia e Lituania) hanno colmato almeno l’80% del loro divario, con l’Islanda che per il 14° anno consecutivo occupa la prima posizione con il 91,2%. L’Italia si ferma al 79° posto, dopo gli Emirati Arabi Uniti, l’Etiopia, il Kenya e l’Uganda.  I dati rivelano che negli ultimi 8 anni il tasso di assunzione di donne nei ruoli di leadership è aumentato lentamente, con un tasso di circa l’1% annuo a livello globale e nel primo trimestre di quest’anno, la percentuale di donne che ricoprono ruoli dirigenziali è scesa al 32%, tornando ai livelli registrati durante la pandemia del 2020.

Il rapporto Gender Diversity Index of Women on Boards and in Corporate Leadership realizzato da Ewob (European Women on Boards) e Kantar Public, evidenzia il profondo gap relativo alle posizioni apicali in Italia, secondo il quale la percentuale di donne CEO è scesa nel 2021 al 3% (nel 2020 era il 4%), posizionando così il nostro Paese agli ultimi posti in Europa. Ma il gap riguarda anche le posizioni in livelli esecutivi, dove le donne si attestano soltanto al 17%. Se i vertici politici si sono aperti alle donne (leader di partito e presidente del consiglio), altri luoghi del potere rimangono completamente preclusi: nessuna commissione permanente della Camera guidata da una donna, 1 presidente di Regione su 20, poco più di 1 sindaca su 10.

Il divario retributivo mostra tutta la sua gravità, con percentuali che allontano di molto l’Italia dalla già non positiva situazione europea: secondo i dati dell’INPS pubblicati qualche giorno fa, considerando il solo settore privato dipendente, il differenziale salariale è del 30% (8.000 euro l’anno), senza tener conto del lavoro domestico e del mondo delle libere professioni. A restare fuori dal calcolo economico anche il lavoro di cura non retribuito che, secondo l’Istituto europeo per la parità di genere (Eige), in Italia è tra i più alti d’Europa, con le donne che svolgono ben più di 4 ore al giorno di lavoro per bambini, anziani e casa, contro l’ora e poco più degli uomini.

A peggiorare il dato, l’effetto distorsivo delle tipologie di contratto considerato dall’INPS: la quota di lavoratrici con almeno un part time nell’anno è pari a circa il 49%, mentre tra gli uomini è del 21%, con impatti evidenti sulla retribuzione totale e sul futuro gap pensionistico, che può arrivare fino al 40%.

Se consideriamo poi il livello di istruzione e la posizione occupata, il gap salariale cresce inspiegabilmente con l’aumentare degli stessi: secondo l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica, la differenza nello stipendio netto mensile a cinque anni dal conseguimento della laurea magistrale è di oltre 500 euro tra uomini e donne, con una media di 1.969 euro per gli uomini e di 1.403 euro per le donne. Il divario salariale parte, dunque, da un 21% per salire progressivamente con l’avanzare del percorso di carriera.

Il diritto alla parità di retribuzione per donne e uomini per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore è un principio fondante dell’Unione Europea fin dal Trattato di Roma del 1957. L’obbligo di garantire la parità di retribuzione è stabilito dall’articolo 157 TFUE e dalla Direttiva sulle pari opportunità e il trattamento degli uomini e delle donne in materia di occupazione e impiego. Ai nostri giorni, in una linea di continuità non solo temporale, il Consiglio europeo, nel giugno 2019 ha invitato la Commissione a sviluppare misure concrete per aumentare la trasparenza salariale. Nel marzo 2020, la Commissione ha pubblicato la Strategia per l’Uguaglianza di Genere 2020-2025 che definisce azioni per garantire l’uguale partecipazione ai diversi settori economici degli uomini e delle donne e colmare il divario retributivo di genere, seguita pochi mesi dopo dal piano d’azione 2021-2025 sull’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne. Lo stesso NEXT Generation EU ha inserito la promozione della parità di genere tra le priorità trasversali, a significare che il superamento del gender gap non rientra in singoli interventi circoscritti, ma è un obiettivo che va perseguito direttamente o indirettamente in tutte le missioni. E a livello globale, l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU pone il raggiungimento della gender equality come quinto dei 17 Sustainable Development Goals.

Infine, la più recente direttiva sulla trasparenza salariale, che è entrata in vigore il 6 giugno 2023, annuncia misure vincolanti in materia di trasparenza salariale come una delle priorità politiche di questa Commissione Europea. La direttiva, infatti, stabilisce un quadro chiaro per l’applicazione del concetto di “lavoro di pari valore” e criteri che includono competenze, impegno, responsabilità e condizioni di lavoro: si tratta di garantire stessa retribuzione per stesso lavoro a prescindere dal genere. Mira ad aiutare le lavoratrici a identificare e contrastare la discriminazione di cui potrebbero essere vittime e a supportare i datori di lavoro nel valutare se nella pratica le proprie strutture retributive rispettano il principio della parità retributiva. La Commissione Europea non definisce solo principi e diritti, ma intende sostenere lo sviluppo di strumenti e metodologie affinché i datori di lavoro europei possano correggere eventuali differenze retributive di genere ingiustificate. È a questo scopo che la Commissione sta stanziando 6,1 milioni di euro nell’ambito del programma Cittadini, Uguaglianza, Diritti e Valori (CERV) per sostenere l’attuazione della direttiva sulla trasparenza salariale negli Stati membri.

L’Equal Pay Day è un monito per tutte e tutti noi: serve a ricordarci di continuare a combattere per colmare il divario retributivo di genere. Un gender pay gap che vuol dire stereotipi, pregiudizi, barriere culturali e discriminazioni che continuano a colpire le donne e gli uomini in tutti gli ambiti della vita, compreso quello lavorativo, e che ci ricorda quanto sia necessaria un’azione specifica per attuare il principio della parità retributiva secondo il principio, appunto, della stessa retribuzione per stesso lavoro.